lunedì 24 ottobre 2016

La fossa (Racconto)


David era un obiettore di coscienza. Non aveva che il suo fiero orgoglio a sostenerlo, a fargli da scheletro nella sua vita lavorativa, e anche quando era nel mezzo di una discussione tra comuni amici. Pensava che fosse un dovere e un diritto dell’uomo opporsi a ciò che era comunemente accettato dalla maggioranza. Per via del suo temperamento si era fatto molti nemici, che però gli parlavano alle spalle, perché preferivano che lui fosse emarginato. Se loro lo avessero criticato, lui avrebbe avuto la risposta pronta, quindi sarebbe uscito comunque vincitore, a prescindere dalla verità effettiva. David sapeva tutto questo ed era ancora più radicalmente fiero di sé quando ci pensava o se lo diceva fra sé e sé.
Un giorno decise, come illuminato da un getto di genialità, di donare il seme. David non aveva una donna – non a caso era un obiettore di coscienza –, quindi se lo poteva permettere. E lo stesso donare il seme era per lui un’obiezione di coscienza. In merito al lavoro, vi si dedicava solo per permettersi qualche soldo per portare avanti la sua vita da obiettore di coscienza. Il giorno in cui David rimase folgorato dall’idea pseudo-geniale passò alla storia: David chiedeva per la prima volta al capo un giorno di astinenza dal lavoro. Aveva sempre lavorato con fierezza, distinguendosi dalla maggioranza dei suoi colleghi che timbravano il cartellino e poi se ne andavano a fare shopping – quegli stupidi! –. Il capo gli negò il permesso, nonostante la buona condotta di David, che era forse il lavoratore più accanito dell’ufficio, anzi, dell’intero edificio. Da obiettore di coscienza, David prese l’ascensore, premette il tasto che attivò il meccanismo e partì verso il basso.
Alla banca del seme David era molto emozionato, non stava letteralmente più nella pelle. La tizia giovane ed esile ad assisterlo percepì la sua forte eccitazione, quindi gli chiese se stava bene. “Mai stato meglio” disse David. “A me non sembra. Non può donare il seme in queste condizioni: lei è troppo euforico” rispose lei, scuotendo la testa, pensosa. Il viso dell’uomo si arrossò, poi sbiancò, poi divenne di un colore simile alla terra arata, solcata e ingrigita dalla stanchezza. Non poteva credere alle sue orecchie. “Cosa significa che sono troppo euforico?” disse tirando fuori il fazzoletto dal taschino e dandosi dei leggeri colpetti sulla fronte. Pacata ma decisa la ragazza disse “Signor Leigh, lei ha la pressione troppo alta, il suo seme ne potrebbe risentire, anzi, sicuramente”. “Scusi ma continuo a non capire”. “Signor Leigh, faccia uno sforzo di immaginazione. E non sia egoista. Lei pensa di uscire di qui dopo aver semplicemente depositato il seme, ma non pensa alle conseguenze che potrebbe avere una fecondazione con sperma sovraeccitato. Il feto generato dal suo seme potrebbe tramutarsi, alla nascita, in un neomorto. Non si viene qui alla banca del seme con questo spirito”. David capì, chinò la testa tristemente e rimise meccanicamente il fazzoletto al suo posto, nel taschino. Guardò l’orologio sulla parete della stanza e disse a bassa voce “Sono già le 12:00, farò tardi al lavoro”. La ragazza chiese “Come, signor Leigh?”. “Niente, niente” rispose lui con un cenno della mano ad accompagnare quella semplice oscura parola ripetuta.
Tornato a casa la sera, dopo aver girato a vuoto nella sua automobile, si diresse subito verso il bagno e si guardò allo specchio. Sulla fronte c’era scritto a caratteri cubitali “NO” con tanto di punto esclamativo. Strizzò gli occhi e rivide quella scritta, tentò di nuovo a farla sparire ma niente. Fino a che non si mise sotto le coperte, la scritta lo accompagnò imperterrita, imperiosa. Si addormentò triste e si risvegliò altrettanto triste. Appena giunto al luogo di lavoro, fece contattare il capo dalla segretaria, entrò nel suo ufficio e diede le dimissioni.
Pochi giorni dopo lo trovarono riverso a metà in una buca al cimitero scavata da lui stesso. Aveva l’abito strappato e la pelle era aperta, percorsa da graffi ancora caldi, ancora sanguinanti. Dopo essersi licenziato, David aveva fatto domanda per un lavoro da becchino. Lo avevano assunto senza tanti complimenti. Di morti, nei giorni precedenti al ritrovamento del corpo, non se ne erano visti, quindi David era rimasto a bocca asciutta. Evidentemente era stanco di tutta quell’ironia che la sorte abbatteva su di lui. Come ultimo atto d’amore per sé stesso, da obiettore di coscienza, non avendo potuto donare il seme per generare vita, non avendo potuto donare una tomba a chi non ne aveva più, si era scavato la fossa. Senza successo. Non era riuscito a tumularsi, a completare l’opera, perché per giorni aveva digiunato e non aveva dormito, fino al punto di morire tra un colpo di zappa e il successivo, andato in fumo.


P. G. Boccacci