martedì 7 aprile 2020

Intervista a Ghemon

Mi decido, dopo un anno e mezzo, a pubblicare questa breve, ma illuminante, intervista, tenuta dal sottoscritto, a Ghemon, rapper di una certa rinomanza a livello nazionale, e dalle idee molto chiare riguardo all'arte - una passione, più che un semplice mestiere -, un artista sensibile e acuto, che nel panorama musicale odierno si ritaglia un proprio spazio. L'occasione è stata il concerto da lui tenuto ad Assisi, nella venue, all'aperto, del Bosco di San Francesco.


Intervista a Ghemon

di Paolo Gabriel Boccacci

Il 27 Luglio 2018, l’artista irpino Ghemon si è esibito nella splendida cornice del Bosco di San Francesco, ad Assisi, con una band dal nome emblematico: Le forze del bene. Questi l’hanno accompagnato attraverso il tardo pomeriggio (durante il soundcheck) e ne hanno sostenuto il flow nel concerto stesso, che si è svolto all’insegna della coscienza unita al divertimento. Prima dell’evento (compreso il soundcheck), inserito nel programma della seconda edizione del festival Universo Assisi, Ghemon ha concesso un’intervista, breve ma essenziale.

Tu hai avuto molte collaborazioni nella tua carriera, e questo mette in luce il rispetto reciproco tra gli artisti, di uno stesso settore, che si trovano a lavorare insieme, in particolare il rispetto che tu hai nutrito – e nutri – per i tuoi colleghi. Hai collaborato con Fabri Fibra, Neffa, Bassi Maestro, hai inciso vari EP, quindi la mia domanda è quale sia la tua dimensione ideale, particolare, che ti è più congeniale: quella del solista – che lavora da solo – o tutte e due?
Come nel calcio degli ultimi anni esiste il “falso nueve” – nel calcio spagnolo – ovvero il “falso attaccante”, allo stesso modo io sono un “falso solista”, nel senso che sono un solista ma, girando con una band di altre cinque persone sul palco – e di dieci in tutto come squadra – sono comunque abituato a sentirmi parte di un gruppo. Quindi, relativamente alle collaborazioni, mi trovo assolutamente bene, purché si tratti, ovviamente, di uno scambio alla pari, perché può capitare, spesso, che queste vengano richieste solo per ottenere visibilità. Sono ancora del parere che la stima debba stare alla base di tutto. La mia dimensione è quella di solista accompagnato.

In un’intervista che hai rilasciato, hai rivelato che, per un certo periodo della tua carriera, la musica ha avuto il valore di terapia. Oggi, come allora, è così?
Sì, di fatto lo è sempre. Non ha il valore di terapia solo in virtù di stati d’animo o fisici precisi, quando non ti senti bene, ma anche durante i periodi felici, nella normalità. Sicuramente, per me, la musica è un secondo ossigeno, la vivo così. Oltre a farla per passione, essendo il mio mestiere, da ascoltatore la sento necessaria, appunto come fosse il mio secondo ossigeno. È terapeutica in tutti i momenti della giornata: quando sono contento o mi preparo per uscire, stando in macchina, nel traffico, quando mi incazzo [sorride] o non so cos’altro … quando vado in palestra, per strada … insomma, per me c’è sempre.

Inizialmente elaboravi testi basandoti, in modo più o meno palese, sui tuoi beniamini, che erano tuoi punti di riferimento, come ad esempio J-Ax degli Articolo 31. Prendevi i testi, li studiavi e facevi una sorta di cut-up, cambiavi le parole, partendo da quel presupposto. Al contempo avevi altre influenze, di stampo pop-rock, come i Litfiba, Ligabue, e altri. Pensi che il tuo songwriting sia maturato, trovi che, nel tempo, tu abbia attuato delle modifiche, che di fatto sono state volute?
Proprio così! Suppongo sia stata la mia preoccupazione principale fin dall’inizio – quella di trovare una forma di scrittura che fosse mia, originale, di evolverla, di starci dietro.

Una sorta di “rivoluzione personale”?
Sicuramente. Provo sempre a non star fermo da quel punto di vista. Mi piace imparare cose nuove. Diciamo che gli inizi, ai quali fai riferimento, sono proprio i miei primi approcci, da meno che adolescente – ero veramente ancora bambino –, quindi in principio si trattava di emulazione. A 11/12 anni inizi così. Poi, piano piano, il rap mi ha dato l’imprinting per avere una forte identità, per puntare su me stesso, per trovare le mie caratteristiche. E ancora oggi, che non faccio più solo rap, ma piuttosto lo mescolo ad altri generi, questa cosa me la ritrovo, perché anche in questi generi, in cui mi sto muovendo da meno tempo rispetto al rap, ho provato a mettere dentro qualcosa di mio e a non copiare cose che esistessero, o magari queste cose tento di non interpolarle e basta, ma ci aggiungo qualcosa fatto da zero.