Immagine di Valeria Pierini |
MONO/Stereo/POLI/Oh! ...
(un) invito al gioC(g)o
Lei sceglie il fungo, lui la candela. Un colpo di polso e alea iacta est!
Così, come una tracklist da scoprire e scandagliare, una playlist da suggere e ascoltare, una setlist da sentire e godere, ecco comparire dal piano inclinato delle loro menti le caselle con cui i concorrenti giocheranno:
- La danza della lealtà: appena dopo il via, non si può
evitare di andare, incedere, avanzare
lungo i comparti stagnanti e mobili di questa ruota della vita che chiamiamo fortuna, pronti a scansare infortuni col
sottile potente martello di chi, pur sentendosi appellare anima candida o cretino, non rinuncia a Ironia per
incidere il reale e le sue epigrafi.
- Tempus edax, mulier edacior: già si avverte uno scorrer comune,
sentito e avvertito in quel che
resta dei giorni a venire, tra un tempio da fuggire e una dancefloor da abbracciare. Poche certezze tra le mani,
come guardarsi dai qualcosa e i qualcuno che
possono farci mostruosi. C’è un tempo
per Aspasia e uno per Egira.
- Tessere o non tessere? (quello
che non c'è):
lungo il percorso può capitare di sentir stanchezza e sonno, o quel sopore
che del sonno ha solo i tratti e altro nome. Un sentire proprio
che è al contempo altrui,
reciproco scambio di lembi zippati
che porta a vedersi e a incernierarsi lancillotti senza graal, e ginevre senza artù.
- Mentre mi affamavo sul Brotherly Bridge: dunque un ponte, un passo, un
giunto cardanico cardato di occhi
smorti e sguardi spenti, come buoi aggiogati nella bolgia degli ipocriti. E oltre questi
e tra questi, oltre il ponte e sul ponte,
l’occhio e lo sguardo di un
compagno, purgato degli altri,
goloso solo di tanta bella fierezza.
- Lord Godivo’s hoperection: si spera, lungo il tragitto,
anche in tubi catodici e suoni intelligenti,
così intelligenti da scervellarci il cranio in gruppi di gerani in un esterno che dà su un golgota eretto, che dà a sua
volta sulle nostre asistole. Si sperimenta e si erige, sperando di evitare
tuoni deficienti e pubi
cattolici.
- Come onda su catrame: dopo un ponte un pontile, tanto
irreale e immaginato da esser quasi
vero, via dalla vox populi (che è spesso vox daemonii), tra pause che uniscono terre e amori, tra punti che
legano cuori e mari, sicuri delle labbra donate, gettate e stipate in cofanetti salvati, decisi a salpare per mondi nuovi.
- Ballata del bollore bieco: “Sarai solo nel tuo sole e
solo sarai!”, dice lei a un tratto del
tragitto, non sapendo di dar vita, con parole agite e azioni parlate, a ratti
appestati, parenti stantii,
lanzichenecchi che fanno harakiri. “Sarai
sola nel tuo sole o sola sarai?”, dice lui guardandola sbiadire di parole
tarlate di parole.
- Sale e scende il tran-tran-vai: poi si fanno incontri, si hanno
visioni, si intonan preghiere, si
colgon guizzi, si lancian perorazioni in faccia a basiliche e basilischi, trovandosi miseri e pietosi, ancora
impigliati tra le rughe viventi e i salti fangosi di un oggi rumoroso e il silenzio
degli dei.
- L'inizio è la mia fine … forse: tra una casella e l’altra, tra
una chance e l’altra, a chi gioca seriamente senza fingere o scherzare può capitare di dar fiato a pene e conclusioni, che includano nel loro letto
un fiume di alfa e omega, prima di capire che tutto si smette, tranne credere
che il tutto e i tutti smetteranno.
- Tutto l’universo d‘ubbi-disce’ al candore: sul tavolo verde, verde di invidia
e dobloni, di rabbia e probabilità, è sempre ragionevole sentire quel che ha da dirci il ragionevole sospetto, da tenere come scudo tenuto
dirimpetto a chi dai piani alti e più alti sempre preme il tasto “avvio” di questa nostra centrifuga.
- S’i fosse buio andarei
da mia alba, s’i fosse
luce fuggirei da lei: prossima tappa, le terre
private dei goliardi e dei giullari, lastricate di facce dure e ottime
intenzioni, che sebbene sperino
in raggi caldi per sbocciare
hanno spesso conti in sospeso
con i giorni smorzati e
affettati da mille e uno effetto
notte.
- Principi problematici di teleologia innaturale: cade la mela dall’albero, cade Newton dal pero; cade la pera nel braccio,
cade la tempra nel fosso; cade il fosso nell’anima, cade Gogol’ tra i vivi; cade la vita nel cuore di chi cadendo
non resta inerte e dalla gravità divina tira fuori il vino degli umani.
- (t)Anamorfosi: per il troppo
cercare alle porte di vie di fuga,
che portino lontano
da questo giro obbligato in
sensi unici rimontati, si arriva ad agire come aracni di noi stessi, legati a triplo filo a patti
pattuiti da qualcun altro, un filo che soffoca e non protegge, che occlude e
non collega.
- Lo scopare scientifico: perciò, di tanto in tanto, tra un imprevisto e una patrimoniale, una tassa di lusso e una
stazione nord, si ritrovano lui e lei a fondere arti e organi, senza piacere, forse senza piacersi più di tanto,
meccanici i gesti di chi irriso non sa ridere mentre affonda nel deserto dell’altro.
- Cenere massiccia: e gli occhi
non son più gli specchi
limpidi dell’anima amata,
che sembra amare solo sé stessa,
nel gioco fra schiavo severo
e padrona obbligata che pende e spadroneggia su entrambi come una corte
di cassazione viziata di braci e ingiustizia. E c’è chi dall’abisso
inchioda l’altra alla vetta.
- Il gelo in Abbastanza: si balla e riballa, si bolle e ribolle, in questo avanzare
a passo di zanzara, che danza stanca e decisa, consapevole di esser
sempre in bilico a cavallo della
bilancia, che pende e mai va giù, che propende e sempre va più su e mai dipende dai diktat di chi non la
vuole di più.
- Chissà chisSenescenza: guardarsi intorno, guardarsi
dentro, scavarsi intorno,
scavarsi dentro, trovarsi intorno, trovarsi dentro, per ritrovarsi un
po’ più piagati, piegati, provati
dall’ipoteca precedente, eppure ancora in piedi, per quanto a due passi dalla
soglia di prigione senza cauzione alcuna.
- La dodicesima in fronte: e per quanti vincoli e limiti,
svincoli e militi, ostacoli e pastoie,
oracoli e cesoie si possano patire, anche l’ora più calda e luminosa arriva a toccarci
e a cullarci il petto,
a cogliere puri il nettare
che ronza, che fischia, che chiede di uscire dalle celle più belle di noi.
- Tanta Romana Offesa: in una voliera
incontrata sul sentiero
si vede nitido un buco bucato da un frullio, e questo frullio
frullato via giusto il tempo di venir frullato da frollati in parannanza, sulla crudele distanza che il grido e il
dissenso coprono fino in bocca ai cani della domenica, signori di tutti i cani.
- Mi salverai da ogni diplomazia: così il giocatore dice a sé
stesso, parlando in e fuori scena,
a voce alta e sussurrata, rivolto ai suoi sé stessi
migliori acché non cerchino speranze vane e consolazioni. Il bianco
di marmo che mostra al pubblico cela paure che
vorrebbero affondarlo.
- Paga stella rincorsa: il viaggio
di Astrofilo corre lungo una strada lunga e tortuosa, una strada che ricorda quella
di Orlando e del suo senno perduto.
Ma perduto non vuol dire distrutto e con qualche perdita e un
nuovo assetto, anche Astrofilo si può fare Astolfo, guelfo solo per la sua bella.
- Todesliebe, meine liebe: salite le scale di un palazzo
sinfonico, solo un’orchestra e i
suoi canti, solo il tempo e la dinamica si conservano in questo castello di
Atlante, cercando nuovi versi in
nuove stanze. “Di morte amore, mio amore/di sorte cara, mia cara”, verga e compone e intona
il loro autore.
- Tra tiepide termopili: già da un po’ una guerra è in atto, per chi non l’avesse
capito. Già da un po’ Greci e Persiani si scontrano e sfiancano in cerca di calore. E se il calore, quello vero, senza macchia e senza paura,
venisse dal fuori pieno e ampio di una caverna
accesa a giorno tutti i giorni?
- Mimarsi un po' è un po' svanire: c’è un soffitto di cristallo, adesso, che osserva il giocatore. E più lo osserva, più somiglia alla faglia sconnessa e anaerobica del sorriso di
sua moglie, semmai ne avesse una. E lei, dall’altro lato, da parte sua, non può
non somigliare al marito. Semmai ne
avesse uno.
- La casa delle cose di carne: si ha a volte come l’impressione che questo tratturo
di noi bestiame ci inganni
e prenda in giro, come una corsa
gratis che nessuno
ci ha detto di non pagare.
Siamo ora Adamo, ora Nimrod, ora Bonnie e Clyde. Ma per capire dovremo toccare e per toccare dovremo sanguinare.
- Truce nei miei occhi: si mettono un attimo in posa,
lui e lei, sulle tavole incerte di questo tavolo,
a citare e recitare l’illustre poeta e l’angelo
protettore, a citarsi
e recitarsi addosso le chiare lacune di un fragile
copione. Fino a cambiare le luci in duci, il sole in gole, lo splendente
in serpente.
- Piange Pangea (se si punge): tra antichi e nuovi testamenti,
testati tra croci e piramidi, tra sabbie e ruggini, tra passaggi e pestaggi, anche la terra ci tiene a ricordare i ruoli che volente o nolente ricopre e ha ricoperto, in questo
bailamme di feste consacrate alle terre sante dei terremoti.
- Oltre altre alcatraz: l’amore per questo mondo, l’ardore per questo immondo
palco che gira e che arrota,
che arrota e che gira, suona sì come palla e catena, come tortura cinese che conta i secondi delle ore
d’aria. Ma tu, giocatore, non far mai mancare un fiore giallo come medaglia al tuo valor mentale.
- Confesso che ho emulato: non si può scomodare Originalità, perché non esiste Origine in questo gioco di andirivieni rivolto a tutti e che noi tutti subiamo. Possiamo però e perciò, montare e decostruire, costruire e smontare quel che abbiamo al nostro attivo. Una dissennata, scherzata rinnovata umanità.
Dunque …
le
caselle sono chiarite, le regole stabilite. I tempi e le strategie si faranno
di mossa in mossa. E non ci
sono numi che siano tutelari di questa
o quella parte.
Lei ha scelto il fungo, lui la candela. Un colpo
di polso e alea iacta est!
Sediamoci a guardare, alziamoci
a giocare in quest’opera incredibile che è di uno e che è di tanti, che ha una e mille prospettive, in questo mega-mini
Mònopolistèrio. Rimontiamo baracca
e burattini: la partita sta per cominciare …
È una
storia non nuova, quella che abbiamo qui sopra illustrato.
È una storia non
nuova, che sa di uova e di gloria, di gusci e di ossa.
È una storia non nuova,
ma è nostra, lo sapete,
quindi siamo costretti a raccontarla.