martedì 10 marzo 2020

Chi ha paura del Coronavirus?



di Paolo Gabriel Boccacci

Chi ha paura del coronavirus? Me lo sono chiesto guardandomi allo specchio. Ho visto solo il mio viso, i miei occhi che mi restituivano lo sguardo. Non ho trovato una risposta.
     Chi ha paura del coronavirus? Me lo sono chiesto mentre correggevo la posizione dello specchietto retrovisore. Ho visto solo una macchina pronta al sorpasso. Non ho trovato una risposta.
     Chi ha paura del coronavirus? Me lo sono chiesto mentre fissavo una vetrina. Ho visto solo me stesso nell’atto di sistemarmi il diavolo per capello in testa. Non ho trovato una risposta.
     Chi non ha paura del coronavirus? Guardavo il telegiornale, con i bulbi assenti, le membra stanche, ma altrettanto stanco nel cervello per tutte quelle notizie che contenevano tutto e non contenevano niente. Nessun messaggio rassicurante, nessun messaggio allarmante.
     Chi non ha paura del coronavirus? Ascoltavo la musica, dal mio computer, il programma aperto, ma altrettanto aperta era la finestra sul mondo dalla quale in questi giorni sono costretto ad affacciarmi, per condividere con tutti e ognuno lo stesso disagio.
     Chi non ha paura del coronavirus? Masticavo la piadina, scaldata sulla piastra, la noia al mio fianco, ma altrettanto annoiato era il cielo fuori, striato giusto da qualche nuvola, con un sole pigro attraverso le tende che sembrava prendermi in giro.

     Non credo che importi se qualcuno abbia paura del coronavirus o meno. C’è chi dice che è un virus come un altro, un’influenza come un’altra; c’è chi dice che neanche la peste del Manzoni era così violenta e implacabile. C’è chi dice che basta una Tachipirina, c’è chi si affretta verso il primo ospedale per il primo tampone disponibile. C’è chi si chiude in casa, e chi rimane dell’idea che rimanere tra le mura domestiche sia insensato, e quindi esce, come se niente fosse.
     Come decidere se uno dei due abbia paura e l’altro no? E poi cosa importa?
Piuttosto, a me, importano le file al supermercato, e le corsie svaligiate neanche fosse periodo di saldi. Mi importano le file in farmacia, il metro/i due metri di distanza da rispettare; mi importano i prezzi della benzina che, all’improvviso, si abbassano, quando uno ha pregato tutta la vita che lo facessero, e non ha mai trovato soddisfazione – non prima di questo coronavirus (!).

     Che poi, perché corona? Corona forse i nostri fallimenti, le nostre vane corse? Corona forse il nostro ego, e la nostra ipocrita ricerca di una redenzione? Lo chiamano così anche gli inglesi. Mica “crownedvirus”! Non può, quindi, avere a che fare con delle teste coronate, con delle eminenze! Non può essere il re o la regina dei virus!
     Eppure c’è gente che si mette in fila fuori dalla farmacia, che si chiude poi nelle proprie case, si lava le mani per la prima volta nella vita. Come se il coronavirus avesse ridestato il nostro istinto di sopravvivenza!? La prospettiva di un attentato di stampo jihadista, o un conflitto Russia-USA che ci cogliesse impreparati nelle strade, non ci ha mai spaventato a tal punto da costruire un bunker, da noleggiarci un atollo, da chiuderci nel garage. Neanche l’ebola, venuta dall’Africa, ci ha spaventato a un livello tale! Ci hanno spaventato, e ci spaventano ancora, i disperati nei barconi, ma, a mia memoria, non c’era un clima apocalittico quando, 5-6 anni fa, l’ebola ci ha bussato alla porta, ed è come se ci avesse detto “Guardate, che non siete così immuni, non siete così protetti!”.
     Eppure per l’ebola, ad oggi, non si è ancora trovato un vaccino, e chi lo contrae prova delle sofferenze atroci, le ripercussioni sono davvero da film horror: il sistema immunitario dà forfait, quando espelli, espelli sangue da qualunque buco, hai le vertigini, la febbre a livelli non stratosferici: peggio!
     Nonostante tutto questo, il coronavirus, che, ok diciamo non sia uguale a una comune influenza, ma ha tutte queste ripercussioni, è superabile, non ti ammazza per forza: insomma, non devi prenotare la bara all’agenzia funebre sotto casa! Gli scienziati stanno cercando un vaccino, ma fondamentalmente chi è già positivo al virus, a meno che non abbia gravi patologie, o vada per gli ottanta, ha una buona possibilità di guarire senza particolari iniezioni o trattamenti.

     Come mai, quindi, tutta questa psicosi di massa? Sono forse i cinesi a darci fastidio, o a terrorizzarci? È forse l’idea che il virus si sia protratto per chilometri e chilometri, come a dire “La Cina era lontana … eppure questo, eppure quello, ecc”? Anche l’ebola veniva da lontano: dagli Stati meridionali dell’Africa. 
     Sono forse i giornalisti, che fomentano, che sensazionalizzano, che non ci hanno dato pace fin da subito, ci hanno colto di sorpresa come una blitzkrieg … bop!? Non è più il 1945, delle bombe nucleari; non è neanche più il ‘77, dell’esplosione del punk. Cos’è che ci atterrisce tanto del coronavirus?
     Forse, più che mai, ci rendiamo conto che il nostro tentativo, annoso, di mettere insieme il nostro genetico campanilismo, e le istanze legate alla globalizzazione, è stato fallimentare. Forse temiamo per il primo dei due – il campanilismo –, temiamo che possa risentirne, che possiamo renderci conto di essere esposti. Temiamo, inconsciamente o meno, di morire come i topi, di essere abbandonati a noi stessi, e che quindi neanche la globalizzazione serva a qualcosa.
     Siamo noi ora il pericolo per il mondo. Siamo noi il pericolo per la nostra cara Italia. Con l’ebola, avevamo una sicurezza: quella che erano, comunque, i neri i responsabili. Sembra, invece, che, in questa occasione, i cinesi siano vittime quanto noi – come infatti sono –, e, seppure il nostro campanilismo, condito di razzismo, sia presente in molti, la pietà in qualche modo prevale.

     Chi ha paura del coronavirus? Fondamentalmente tutti. Fondamentalmente nessuno. Più del coronavirus ci fa paura l’idea di essere i responsabili, di essere i capri espiatori, di non essere perfetti, e quindi non poter essere più campanilistici, e ci rendiamo conto di trovarci costretti all’isolamento, e alla mesta rimpatriata.

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