Scrivo qualche riga,
di getto, come viene,
di certo non mi conviene,
ma meglio questo rischio
che respirare il terrore
e farmelo persino andare bene:
che escan le parole come da diga,
che pulsino di rivolta le vene,
e ch'io mi salvi con colpi di rene
dal sistema, del quale, sfacciato, mi infischio,
perché ammalarmi di terrore,
no, non me lo farò mai andare bene.
E se questo comportare dovesse l'esilio,
lo accetterò, con il rischio che io muoia,
e purché non finisca estinta in me la gioia
di ciò che mi è più caro, terrò botta,
ammettendo l'errore, il possibile torto,
ma di dittature non avrò mai voglia:
di nessun dio invoco l'ausilio,
non aspetto alcun miracolo alla soglia
della mia esistenza solinga e spoglia,
ma mai che sia motivo questa mia lotta
per dire che io sia soldato insorto,
perché al soldo potrei solo controvoglia.
Sotto cieli sconfinati, in terra totalitaria,
sarò costretto, semmai volessi, alla paura
ogniqualvolta dovessi uscire all'avventura,
cercando una libera uscita non ordinata,
perché vero evaso sarò per il grande occhio,
qualora non vaccinato lasciassi le mie mura:
ben rinuncerei allora alla vostra aria,
e dell'intimo senso di morte non avrei cura,
perché è meglio una reclusione dura e pura
che un'agonia di massa, libertà condizionata,
e saltellando infante, da novello Pinocchio,
per la mia stanza, rifiuterò l'abiura.
Dicevo queste parole esser di getto,
in realtà sono in rima, lo richiede il tema,
perché non sia delirio, ma fermo anatema
a chi un giorno piangerà per la sentenza,
che arriverà sicura per i crimini di oggi,
fugace giorno di gloria per sedicenti eroi:
pseudofilantropi, democratici, il mio rispetto
avete per la vostra astuzia, vostro emblema,
perché infine davanti a una corte suprema,
al contrario di un tempo, tradirà l'indecenza,
e ne potrete fare solo tristi e biechi sfoggi,
sarete perfetti nel vostro ruolo di hoi-polloi.
P. G. Boccacci
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