Telefono a ignoti in un vespro embrionale,
in un plumbeo abito da ragazzo vissuto,
corteggio le tue labbra, ovunque esse siano,
perché mi conducano nell'uno o nell'altro imbuto.
Mi tocco e mi ritocco, ma il mio aspetto è lo stesso,
tu ti tocchi e ti ritocchi, ma hai un viso più chiaro,
lampeggio alla tua vista, comunque essa appaia,
e tu aspetti che ti conduca allo scoglio del faro.
Salendo le scale, spiralando a fatica,
mi provo a seguirti ma tu ridi già più avanti,
sei arrivata in cima, io sto ancora a metà,
e io aspetto che i tuoi occhi mi compaiano anelanti.
Ma non compare che una luce sopra al mio sguardo,
non sono più dormiente e mi levo a fatica,
sono resiliente, attore stanco di questo spettacolo
grottesco che è la mia vita, in cui sono mollica.
P. G. B.
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