martedì 13 dicembre 2022

Quando si ama tanto, troppo (Poesia)

 

Quando si ama tanto, troppo,
si perdono la cognizione e il buonsenso,
più si ama, e più per assurdo si odia,
avrei dovuto rifletterci anni fa;
non mi troverei con le spalle al muro ora,
colpevole di esserci rimasto tanto, troppo male
quando subivo offese, quando venivano lese
le mie buone intenzioni, da chi non mi aspettavo.

Quando si ama tanto, troppo,
si perde di vista il rischio che ciò comporta,
più si ama, e più per assurdo si è fragili,
avrei dovuto lasciar perdere anni fa;
non mi troverei con il piede alla catena ora,
colpevole di essermi lasciato trasportare
quando mi sarebbe bastata un po' di tregua,
niente guerre per un minuto, per un'ora, un giorno.

Quando si ama tanto, troppo,
non si ascolta la voce della razionalità,
più si ama, e più per assurdo si diventa stupidi,
avrei dovuto amarmi di più anni fa;
non mi troverei con il groppo in gola ora,
colpevole di essermi fidato troppo del sangue
quando mi sarebbe bastato sgonfiare la vena,
ma non basta dirlo, ora che sono un estraneo.

P. G. B.

giovedì 8 dicembre 2022

Per nessuno a parte (Poesia)


La televisione è spenta al di là del muro

e sono solo, sono ancora più solo

di quella volta che mi hai baciato

prima di salire sull'autobus

e mi illudevo che forse

avresti potuto amarmi,

era più dolce così, 

ora non esisti,

resisti e basta,

non mi cerchi,

non mi pensi,

non ci sono,

non sono ... 


e la televisione 

continua a essere

freddamente spenta

dopo aver dato quel poco

e avermi illuso che magari

avresti potuto dirmi qualcosa

senza palinsesto, fuori nel mondo,

ma ora vivo di pensieri amari, guardo

il tuo fantasma via via farsi meno esistente,

perché non esiste - non mi cerchi, non mi pensi,

non ci sono per te, tu non ci sei per nessuno a parte

te o forse solo per lui, mentre stringi il frutto per il seme.


P. G. B.

martedì 6 dicembre 2022

Evocazione (Poesia)



Se ne andranno i giudici, 
se ne andranno i prelati,
se ne andranno i pudici,
se ne andranno i debosciati;
se ne andrà la libera gente
libera di schiavizzare gente,
se ne andrà la vana folla
che è vana perché tutto ingolla. 

Ma resterò io, con il mio flebile lascito,
con le mie poesie monche, dopo la consegna 
della mia pelle e delle mie ossa al pulpito,
e sarò tamburo battente, su fradicia legna;
le menti e i corpi con dolente impeto percuoterò,
su chi mi sarà sopravvissuto mi ripercuoterò,
se ne andrà la vana folla, ma ci sarò io,
né in alto sopra, né secondo, a Dio. 

Chi mi giudica oggi sarà giudicato domani,
chi mi guarda con diffidenza lucrerà su di me,
io che non so quando morrò me ne lavo le mani,
dei miei stolti innamoramenti faccio un autodafé;
perché ho amato il mondo nonostante le offese,
e in cuor mio e su carta, perdono chi mi offese,
se ne andrà la vana folla, rimarrà forse un cuore
di donna o di uomo, in piedi a evocarmi con amore.

P. G. B.

domenica 20 novembre 2022

Allo scoglio del faro (Poesia)

 


Telefono a ignoti in un vespro embrionale,
in un plumbeo abito da ragazzo vissuto,
corteggio le tue labbra, ovunque esse siano,
perché mi conducano nell'uno o nell'altro imbuto.

Mi tocco e mi ritocco, ma il mio aspetto è lo stesso,
tu ti tocchi e ti ritocchi, ma hai un viso più chiaro,
lampeggio alla tua vista, comunque essa appaia,
e tu aspetti che ti conduca allo scoglio del faro.

Salendo le scale, spiralando a fatica,
mi provo a seguirti ma tu ridi già più avanti,
sei arrivata in cima, io sto ancora a metà,
e io aspetto che i tuoi occhi mi compaiano anelanti.

Ma non compare che una luce sopra al mio sguardo,
non sono più dormiente e mi levo a fatica,
sono resiliente, attore stanco di questo spettacolo
grottesco che è la mia vita, in cui sono mollica. 


P. G. B.

lunedì 12 settembre 2022

Ma troverò (Poesia)



A volte mi fermo e mi domando
se tutto questo valga la pena,
a volte mi accorgo e mi rispondo
che niente di questo merita cura:
sono troppo per questa città,
troppo poco per il mondo,
ma troverò un equilibrio,
dovessi anche raschiare il fondo.

Ti porgerei la mano e tu la stringeresti
se quello che sogno si facesse realtà,
ti porgerei la guancia e tu la baceresti
se fossi quello che sogno nella realtà:
sono tutto per questo mondo,
meno di niente per la città,
ma troverò la mia via d'uscita,
dovessi anche sacrificare in ingenuità.

Ho torto spesso a pensare che tu possa
o addirittura debba amarmi come sono,
con me ti scaveresti sicura fossa
e ti darei la noia come mio unico dono:
sono qualcosa per chi mi dà retta,
uno qualunque per le folle in sommossa,
ma troverò le tue labbra nella mischia,
dovessi anche pentirmi di una simile mossa.

P. G. B.

giovedì 17 marzo 2022

"MONO/Stereo/POLI/Oh! ... (un) invito al gioCo". Flavio Albanese scrive di "Una storia non nuova. 29 poesie" di Paolo Gabriel Boccacci

Immagine di Valeria Pierini

MONO/Stereo/POLI/Oh! ...

(un) invito al gioC(g)o


Lei sceglie il fungo, lui la candela. Un colpo di polso e alea iacta est!

Così, come una tracklist da scoprire e scandagliare, una playlist da suggere e ascoltare, una setlist da sentire e godere, ecco comparire dal piano inclinato delle loro menti le caselle con cui i concorrenti giocheranno:

  1. La danza della lealtà: appena dopo il via, non si può evitare di andare, incedere, avanzare lungo i comparti stagnanti e mobili di questa ruota della vita che chiamiamo fortuna, pronti a scansare infortuni col sottile potente martello di chi, pur sentendosi appellare anima candida o cretino, non rinuncia a Ironia per incidere il reale e le sue epigrafi.

  2. Tempus edax, mulier edacior: già si avverte uno scorrer comune, sentito e avvertito in quel che resta dei giorni a venire, tra un tempio da fuggire e una dancefloor da abbracciare. Poche certezze tra le mani, come guardarsi dai qualcosa e i qualcuno che possono farci mostruosi. C’è un tempo per Aspasia e uno per Egira.

  3. Tessere o non tessere? (quello che non c'è): lungo il percorso può capitare di sentir stanchezza e sonno, o quel sopore che del sonno ha solo i tratti e altro nome. Un sentire proprio che è al contempo altrui, reciproco scambio di lembi zippati che porta a vedersi                 e a incernierarsi lancillotti senza graale ginevre senza artù.

  4. Mentre mi affamavo sul Brotherly Bridge: dunque un ponte, un passo, un giunto cardanico cardato di occhi smorti e sguardi spenti, come buoi aggiogati nella bolgia degli ipocriti. E oltre questi e tra questi, oltre il ponte e sul ponte, l’occhio e lo sguardo  di un compagno, purgato degli altri, goloso solo di tanta bella fierezza.

  5. Lord Godivo’s hoperection: si spera, lungo il tragitto, anche in tubi catodici e suoni intelligenti, così intelligenti da scervellarci il cranio in gruppi di gerani in un esterno che dà su un golgota eretto, che dà a sua volta sulle nostre asistole. Si sperimenta e si erige, sperando di evitare tuoni deficienti e pubi cattolici.

  6. Come onda su catrame: dopo un ponte un pontile, tanto irreale e immaginato da esser quasi vero, via dalla vox populi (che è spesso vox daemonii), tra pause che uniscono terre e amori, tra punti che legano cuori e mari, sicuri delle labbra donate, gettate e stipate in cofanetti salvati, decisi a salpare per mondi nuovi.

  7. Ballata del bollore bieco: “Sarai solo nel tuo sole e solo sarai!”, dice lei a un tratto del tragitto, non sapendo di dar vita, con parole agite e azioni parlate, a ratti appestati, parenti stantii, lanzichenecchi che fanno harakiri. Sarai sola nel tuo sole o sola sarai?”, dice lui guardandola sbiadire di parole tarlate di parole.

  8. Sale e scende il tran-tran-vai: poi si fanno incontri, si hanno visioni, si intonan preghiere, si colgon guizzi, si lancian perorazioni in faccia a basiliche e basilischi, trovandosi miseri e pietosi, ancora impigliati tra le rughe viventi e i salti fangosi di un oggi rumoroso e il silenzio degli dei.

  9. L'inizio è la mia fine … forse: tra una casella e l’altra, tra una chance e l’altra, a chi gioca seriamente senza fingere o scherzare può capitare di dar fiato a pene e conclusioni, che includano nel loro letto un fiume di alfa e omega, prima di capire che  tutto si smette, tranne credere che il tutto e i tutti smetteranno.

  10. Tutto l’universo d‘ubbi-disce’ al candore: sul tavolo verde, verde di invidia e dobloni, di rabbia e probabilità, è sempre ragionevole sentire quel che ha da dirci il ragionevole sospetto, da tenere come scudo tenuto dirimpetto a chi dai piani alti e più alti sempre preme il tasto “avvio” di questa nostra centrifuga.

  11. S’i fosse buio andarei da mia alba, s’i fosse luce fuggirei da lei: prossima tappa, le  terre private dei goliardi e dei giullari, lastricate di facce dure e ottime intenzioni, che sebbene sperino in raggi caldi per sbocciare hanno spesso conti in sospeso con i giorni smorzati e affettati da mille e uno effetto notte.

  12. Principi problematici di teleologia innaturale: cade la mela dall’albero, cade Newton dal pero; cade la pera nel braccio, cade la tempra nel fosso; cade il fosso nell’anima, cade Gogol’ tra i vivi; cade la vita nel cuore di chi cadendo non resta inerte e dalla gravità divina tira fuori il vino degli umani.

  13. (t)Anamorfosi: per il troppo cercare alle porte di vie di fuga, che portino lontano da questo giro obbligato in sensi unici rimontati, si arriva ad agire come aracni di noi stessi, legati a triplo filo a patti pattuiti da qualcun altro, un filo che soffoca e non protegge, che occlude e non collega.

  14. Lo scopare scientifico: perciò, di tanto in tanto, tra un imprevisto e una patrimoniale, una tassa di lusso e una stazione nord, si ritrovano lui e lei a fondere arti e organi, senza piacere, forse senza piacersi più di tanto, meccanici i gesti di chi irriso  non sa ridere mentre affonda nel deserto dell’altro.

  15. Cenere massiccia: e gli occhi non son più gli specchi limpidi dell’anima amata, che sembra amare solo stessa, nel gioco fra schiavo severo e padrona obbligata che pende  e spadroneggia su entrambi come una corte di cassazione viziata di braci e ingiustizia. E c’è chi dall’abisso inchioda l’altra alla vetta.

  16. Il gelo in Abbastanza: si balla e riballa, si bolle e ribolle, in questo avanzare a passo di zanzara, che danza stanca e decisa, consapevole di esser sempre in bilico a cavallo della bilancia, che pende e mai va giù, che propende e sempre va più su e mai dipende  dai diktat di chi non la vuole di più.

  17. Chissà chisSenescenza: guardarsi intorno, guardarsi dentro, scavarsi intorno, scavarsi dentro, trovarsi intorno, trovarsi dentro, per ritrovarsi un po’ più piagati, piegati, provati dall’ipoteca precedente, eppure ancora in piedi, per quanto a due passi dalla soglia di prigione senza cauzione alcuna.

  18. La dodicesima in fronte: e per quanti vincoli e limiti, svincoli e militi, ostacoli e pastoie, oracoli e cesoie si possano patire, anche l’ora più calda e luminosa arriva a toccarci e a cullarci il petto, a cogliere puri il nettare che ronza, che fischia, che chiede di uscire dalle celle più belle di noi.

  19. Tanta Romana Offesa: in una voliera incontrata sul sentiero si vede nitido un buco bucato da un frullio, e questo frullio frullato via giusto il tempo di venir frullato da frollati in parannanza, sulla crudele distanza che il grido e il dissenso coprono fino in bocca ai cani della domenica, signori di tutti i cani.

  20. Mi salverai da ogni diplomazia: così il giocatore dice a sé stesso, parlando in e fuori scena, a voce alta e sussurrata, rivolto ai suoi stessi migliori acché non cerchino speranze vane e consolazioni. Il bianco di marmo che mostra al pubblico cela paure che vorrebbero affondarlo.

  21. Paga stella rincorsa: il viaggio di Astrofilo corre lungo una strada lunga e tortuosa, una strada che ricorda quella di Orlando e del suo senno perduto. Ma perduto non vuol dire distrutto e con qualche perdita e un nuovo assetto, anche Astrofilo si può fare Astolfo, guelfo solo per la sua bella.

  22. Todesliebe, meine liebe: salite le scale di un palazzo sinfonico, solo un’orchestra e i suoi canti, solo il tempo e la dinamica si conservano in questo castello di Atlante, cercando nuovi versi in nuove stanze. “Di morte amore, mio amore/di sorte cara, mia cara”, verga e compone e intona il loro autore.

  23. Tra tiepide termopili: già da un po’ una guerra è in atto, per chi non l’avesse capito. Già da un po’ Greci e Persiani si scontrano e sfiancano in cerca di calore. E se il calore, quello vero, senza macchia e senza paura, venisse dal fuori pieno e ampio di una caverna accesa a giorno tutti i giorni?

  24. Mimarsi un po' è un po' svanire: c’è un soffitto di cristallo, adesso, che osserva il giocatore. E più lo osserva, più somiglia alla faglia sconnessa e anaerobica del sorriso di sua moglie, semmai ne avesse una. E lei, dall’altro lato, da parte sua, non può non somigliare al marito. Semmai ne avesse uno.

  25. La casa delle cose di carne: si ha a volte come l’impressione che questo tratturo di noi bestiame ci inganni e prenda in giro, come una corsa gratis che nessuno ci ha detto  di non pagare. Siamo ora Adamo, ora Nimrod, ora Bonnie e Clyde. Ma per capire dovremo toccare e per toccare dovremo sanguinare.

  26. Truce nei miei occhi: si mettono un attimo in posa, lui e lei, sulle tavole incerte di questo tavolo, a citare e recitare l’illustre poeta e l’angelo protettore, a citarsi e recitarsi addosso le chiare lacune di un fragile copione. Fino a cambiare le luci in duci, il sole in gole, lo splendente in serpente.

  27. Piange Pangea (se si punge): tra antichi e nuovi testamenti, testati tra croci e piramidi, tra sabbie e ruggini, tra passaggi e pestaggi, anche la terra ci tiene a ricordare i ruoli che volente o nolente ricopre e ha ricoperto, in questo bailamme di feste consacrate alle terre sante dei terremoti.

  28. Oltre altre alcatraz: l’amore per questo mondo, l’ardore per questo immondo palco che gira e che arrota, che arrota e che gira, suona sì come palla e catena, come tortura cinese che conta i secondi delle ore d’aria. Ma tu, giocatore, non far mai mancare un fiore giallo come medaglia al tuo valor mentale.

  29. Confesso che ho emulato: non si può scomodare Originalità, perché non esiste Origine in questo gioco di andirivieni rivolto a tutti e che noi tutti subiamo. Possiamo però e perciò, montare e decostruire, costruire e smontare quel che abbiamo al nostro attivo. Una dissennata, scherzata rinnovata umanità.

Dunque …

le caselle sono chiarite, le regole stabilite. I tempi e le strategie si faranno di mossa in mossa. E non ci sono numi che siano tutelari di questa o quella parte.
Lei ha scelto il fungo, lui la candela. Un colpo di polso e alea iacta est!
Sediamoci a guardare, alziamoci a giocare in quest’opera incredibile che è di uno e che è di tanti, che ha una e mille prospettive, in questo mega-mini Mònopolistèrio. Rimontiamo baracca e burattini: la partita sta per cominciare … 

È una storia non nuova, quella che abbiamo qui sopra illustrato.
È una storia non nuova, che sa di uova e di gloria, di gusci e di ossa.
È una storia non nuova,
ma è nostra, lo sapete,
quindi siamo costretti a raccontarla.

domenica 2 gennaio 2022

Il cuore del mondo (Poesia)


Sono minuti, sono giorni, sono mesi e anni

di clausura;

non delle case, non delle chiese, non delle stalle

ma delle menti;

sono secondi, assecondati, ma non secondari

i volti del gregge;

sono primi, comprimari, ma più di tutto primati

i codardi di Stato.


È la crociata, è la sinistra insieme alla destra:

piazza pulita.

È lo zeitgeist, l'assenza di spirito, l'acquiescenza:

l'aria che tira.

Sintonizzati, tutti cablati, antenne drizzate: 

gli uomini nuovi.

Come non credere ai loro discorsi, ai loro attestati

di malemerenza!?


Hanno famiglie e hanno dei ruoli, credono con forza 

nel diritto;

hanno la coda, l'hanno di paglia, e si credono fortemente 

nel diritto

di decidere il destino dei loro simili, è bastato loro

il primo pretesto

per tirar fuori il martello, tirar fuori la toga,

e sentenziare

il nemico comune.


Quando finirà, se finirà tutto questo teatro

della crudeltà,

sarò più maturo ma non più sicuro che sarà cambiato

il cuore del mondo,

perché saran pronte allora all'uscita dalle confezioni

i robot,

e a quel punto non ci saranno malanni, ma solo death pass

per l'automazione.


P. G. B.