lunedì 5 agosto 2019

UNA recensione su "KRONOMAKIA"

UNA recensione su "KRONOMAKIA"
Spettacolo di Micrologus/Daniele Sepe
di Paolo Gabriel Boccacci


     Il 28 luglio scorso, il festival UniversoAssisi si è concluso, alle 22:00, con uno show all’insegna della fusione tra mondi musicali diversi: jazz e rock sposati, più o meno sinergicamente, alle ballate medievali (ma non solo!), lette, a tal guisa, in chiave moderna.

     Causa pioggia, lo spettacolo, intitolato “KRONOMAKIA” (“battaglia del tempo”), tenuto dai Micrologus e dal sassofonista Daniele Sepe, è stato spostato dalla location prevista, della Basilica Superiore di S. Francesco, al Teatro Lyrick (interno).


     L’incontro/scontro volutamente evocato, cercato in maniera autoironica, tra generi apparentemente tanto distanti, a livello temporale, ha, invece, dimostrato quanto l’idea, che si ha di entrambi, sia riduttiva, se non erronea: la concezione di musica popolare e, congiuntamente, di musica colta è stata messa in discussione, il divario è risultato, fortunatamente, poco convincente, perché la canzone medievale, tanto quanto il jazz – effuso da Daniele Sepe, che, in questo senso, non ha fatto davvero prigionieri –, ha vissuto con coerenza, grazie agli strumenti, resi dinamici dall’ensemble assisano, la propria contraddizione, proprio attraverso la simbiosi.


     Si sono alternate tarantelle, tammuriate, saltarelli e danze medievali, ma c’è stato spazio anche per due cover di brani illustri dell’immaginario pop-rock degli ultimi cinquant’anni (o poco più): “Stayin’ Alive” dei Bee Gees e “Norwegian Wood (This Bird Has Flown)” dei Quattro di Liverpool.
     Ma ecco la parte dolente: laddove il repertorio di stampo medievale è stato sapientemente valorizzato dall’ensemble, supportato dall’ugola di Patrizia Bovi, che ha, nel bene o nel male, confermato la sua spiccata tecnica vocale, le due cover hanno lasciato un po’ al caso, soprattutto quella di “Stayin’ Alive”, guastata da una dizione, sempre della Bovi, in questo caso vaneggiante: a chi scrive è sembrato che qualcuno stesse cantando, il più memorabile dei pezzi disco, in un giapponese caricaturale. E si trattava di un riadattamento, del classico anglofono, in latino!

     Relativamente alla cantante/arpista di cui sopra, sicuramente dotata di un timbro all’altezza delle composizioni medievali, va detto che la sua esibizione, seppur impeccabile (finché si è tenuta fuori dal Novecento pop), è risultata piuttosto fredda, svuotata di quel carisma che, se posseduto da un artista, e da questi ben calibrato, risulta essere la chiave di volta durante un’esperienza dal vivo. 
     Se gli strumentisti hanno saputo rapire, in diversi frangenti, l’uditorio, attraverso dei suggestivi voli sonori, la frontwoman della serata ha, essenzialmente, quod valde dolendum, dato l’impressione, quantomeno a chi scrive, di saper fare il “compito", e nulla più.

     Da segnalare, come fattore positivo, la sezione ritmica di Davide Afzal (basso), di Paolo Forlini (batteria) e di Enea Sorini (voce, salterio e percussioni), senza nulla togliere ai restanti musicisti.


     Un concerto, durato quasi due ore, che ha saputo dare molto attraverso il rifiuto di una seriosità “classicista”, alla quale si è preferito un taglio decisamente ironico. Musicisti in forma, vocalist anche, ma – quest’ultima – poco comunicativa. L’arpa ha compensato.

lunedì 29 luglio 2019

Oh Tzigano dall'aria triste e passionata ...

OH TZIGANO DALL'ARIA TRISTE E PASSIONATA ...
Recensione sul terzo episodio, "PITTURA" della tre-giorni su Pier Paolo Pasolini
"PPP Vita attraverso Parola/Persona/Pittura"
di Paolo Gabriel Boccacci



Nel quadro della terza edizione del Festival UniversoAssisi, luglio 2019, il Piccolo Teatro degli Instabili, fulgida realtà culturale e aggregativa di Assisi, piccola grande istituzione nel novero dei Luoghi dell’Umbria (contrapposti ai non-luoghi tristemente diffusi, su tutta la Penisola, e al di fuori), attorno ai quali gravitano menti e cuori, giovani nell’essenza, e non necessariamente secondo l’anagrafe, ha svolto un ruolo chiave nella maturazione di progetti, entrati, con tutti gli onori, nel calendario della manifestazione annuale che, più di tutte, fa uscire la Città del Santo Patrono d’Italia dal suo stato di minorità mediatico-culturale.
     E ha svolto un tale ruolo attraverso una coraggiosa programmazione, che ha previsto un ciclo di tre spettacoli, pensati da Fulvia Angeletti, gestrice del Teatro stesso, dedicati alla, tanto controversa quanto affascinante, figura di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), intellettuale e uomo veramente moderno, pur nel suo dichiarato attaccamento a valori tradizionali.

         
    Tre le inquadrature riservate al personaggio privato e pubblico che Pasolini ha incarnato, e continua a incarnare; tre le serate impregnate dello spirito poetico e umano di un artista che, di poesia visiva e concettuale, ha vestito la sua esistenza, con una tale coerenza e acutezza da risultare, ancora oggi, un esempio di “homo renovatus” (e non di “homo novus”, come diversi lo avevano, semplicisticamente, etichettato negli anni Sessanta), che vive il proprio tempo, ma che sogna un passato futuribile.
   
     I
l presupposto dal quale parte la tre-giorni (21, 23 e 26 Luglio) di “PPP Vita attraverso Parola/Persona/Pittura” è il profondo legame che l’intellettuale bolognese, di ascendenza friulana (da parte di madre), ebbe con la città di Assisi, soprattutto nel periodo della realizzazione de “Il Vangelo secondo Matteo”; e a questo legame, fattivamente, è stato dedicato il primo spettacolo, incorniciato negli spazi della Rocca Minore e interpretato dall’attore Lino Musella.
     Le corrispondenze epistolari dell’intellettuale, da Bologna e da Casarsa, con i suoi colleghi e amici, sature di amore per la vita, hanno modellato il secondo spettacolo (del 23), organizzato in una suggestiva location nel centro storico di Assisi, denominata per l’occasione “Cortile Pasolini”, in via San Gregorio N. 4. La presenza di un’altra “guest star”, l’attrice Elena Bucci, coadiuvata dalla violoncellista canadese Julia Kent e da un coro tutto al femminile, ha dato un peso maggiore alla rievocazione.
         
    Il ciclo si è chiuso, significativamente, con una rappresentazione che ha inteso, ed è riuscita a, riprodurre l’iconico immaginario del Pasolini scrittore, ma soprattutto regista.
     22:45, esterno, notte. Dagli spalti dello Stadio degli Ulivi, il pubblico osserva, in un clima di assoluta intimità nel grande spazio, gli allievi/performers del Piccolo Teatro degli Instabili avvicendarsi, trasformarsi scena dopo scena, in un crescendo di emozioni, profuse e esibite in maniera non sensazionalistica, ma con la semplicità dei personaggi di Pasolini, rei convinti o presunti in un mondo schiacciante.
     Vengono citati, attraverso la mise en scene, “Accattone”, “Mamma Roma”, “La Ricotta” e “Uccellacci Uccellini”. La voce di Joselito, cantante bambino, che intona “Violino Tzigano”, si riavvolge su sé stessa, come in loop, mentre si alternano ragazzi di vita, prostitute e avventori di bar. La Magnani riecheggia fiera, e appassionata, nel suo stornello, e la più grande tragicommedia – la vita – diventa protagonista.
         
     Un po’ più tardi delle 22:45, esterno, notte. Il pubblico scende dagli spalti per raggiungere il campo da calcio sottostante, e, come in un rito collettivo, si avvicina fisicamente e mentalmente a un nuovo set, che vede l’attore Francesco “Bolo” Rossini interpretare Pasolini stesso. La voce di quest’ultimo, registrata, riempie la distesa erbosa, e suona tanto antica quanto familiare, a un’audience composta da “persone”, da uomini e donne accomunati dallo stesso fardello e dallo stesso bisogno d’amore e dalla stessa fame di vita.

     Per tutto il tempo, in entrambi i “set”, il pianoforte e gli effetti elettronici del compositore Ramberto Ciammarughi, orgoglio assisano, e cuore pulsante della serata, hanno trasportato gli spettatori in un mondo sonoro fatto di nostalgia, ma anche di speranza, popolato di spiriti bramosi di uscire, e di rivivere. Le suggestioni da lui create, attraverso toni a tratti delicati, a tratti drammatici, senza risultare enfatici, hanno posato sullo strato visivo, preesistente e coesistente, un ulteriore strato di magia e di tensione alla vita.
    
    Tanti i collaboratori, tanto il calore e il lavoro svolto, per dare vita a una rievocazione inedita, a un tributo onesto, a uno degli autori novecenteschi più impattanti, e intensamente partecipi del proprio tempo, e di quello futuro: come disse Alberto Moravia al funerale di PPP, “Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro in un secolo”.

domenica 28 luglio 2019

Una discoteca labirinto 2.0, all'aperto


UNA DISCOTECA LABIRINTO 2.0, ALL'APERTO
Recensione sul concerto dei Subsonica alla Lyrick Summer Arena, Assisi
di Paolo Gabriel Boccacci



     Alla Lyrick Summer Arena di Assisi – spazio esterno, attiguo al Teatro omonimo –, il 23 Luglio 2019 si è consumata, per la gioia degli astanti, che hanno contribuito alla sua buona realizzazione, una celebrazione – tra suoni e paroledella vita e delle sue contraddizioni, che, nonostante risultino, secondo l’accezione comune, apparentemente controproducenti, in realtà fanno della vita stessa ciò che è, e deve essere: a tratti alchimia di elementi, a tratti dicotomia. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
     A dare, con umiltà, una tale lezione sono stati i Subsonica, in grande spolvero, attraverso la loro usuale verve, non epurata dal, pur sempre presente, impegno: canzoni che parlano di ieri, di oggi e di domani, ma lo fanno con spigliatezza, con la gioia della consapevolezza che si può cambiare: ci si può trasformare.

          I Subsonica hanno pubblicato, nell’ottobre dell’anno scorso, la loro ultima fatica, a quattro anni di distanza dalla precedente, che non aveva dato loro il successo sperato, probabilmente in ragione di una caduta di stile. E il concerto ad Assisi fa parte, in mezzo a una vasta serie di date, del tour attinente, a supporto di “8”, ottavo album di studio, nel quale la band sembra tornare alle origini, e vi riesce non malaccio.
          Il concerto, diviso in due set, dà il dovuto spazio alle nuove canzoni, ma, con ancora più coerenza, concettuale e temporale, Samuel & Co si riallacciano al loro lavoro più rappresentativo, “Microchip Emozionale” del ’99, che ha permesso loro, venti anni orsono, di entrare sottopelle in una fetta di pubblico italiano, che sente ancora cari, nel proprio cuore, brani immortali come “Tutti i miei sbagli” (in realtà portato a Sanremo nel 2000, scritto proprio per quell’occasione, ed edito nella seconda stampa dell’album), “Colpo di pistola”, “Aurora sogna” e “Disco labirinto” (che, “back in the day”, vedeva coinvolti i buoni vecchi Bluvertigo, altra realtà italiana illustre negli anni Novanta).
          Il concerto inizia alle 22:15 circa, leggermente in ritardo sull’orario fissato, ma poco male: Samuel (voce), Max (chitarra), Vicio (basso), Boosta (tastiere), Ninja (batteria) fanno il loro ingresso trionfale e subito fanno saltare il pubblico con 1) “Bottiglie Rotte”, 2) “Disco Labirinto”, 3) “Up Patriots to Arms” (classicone di Mr. Franco Battiato). Bastano queste tre canzoni per immergere il pubblico, già a questo predisposto, nell’“universo Subsonica”.
     Il calore è palpabile, si canta a squarciagola, e non ci si ferma quasi mai, se non per ascoltare alcune introduzioni, di Samuel, ai pezzi più accorati.
          Il primo set si chiude con “L’incredibile performance di un uomo morto” (in cui non viene coinvolto nessun uomo morto che dà la sua incredibile performance), un lento che vira verso lo struggente; una breve pausa e poi si ricomincia, con la band che continua, intelligentemente, ad alternare brani “vecchi” e nuovi. Il bis è costituito dalla sopracitata “Tutti i miei sbagli” e da “Strade”. Per tutto il concerto, la presenza delle proiezioni su schermo, e le luci, rappresentano una scelta importante, tanto che, nel finale di “Strade”, la parola del titolo, a livello visivo, crea volutamente un’ambiguità, con l’anagrammaDestra”.
    
     Un concentrato di divertimento, uno sfogo collettivo: questa l’esibizione della band torinese, sotto il cielo di Assisi, città fin troppo obbediente a certi preconcetti e a una certa indolenza durante il suo canonico corso, che, per fortuna, ogni tanto viene interrotto da manifestazioni di gioia, e segnali di vita (cit.). I Subsonica stessi parlano della disobbedienza come modo principe per il cambiamento. E forse anche Assisi può scuotere via la polvere. Come direbbe Galilei: “Eppur si muove!”.

lunedì 13 maggio 2019

John Stewart - She Believes In Me TRADUZIONE


Traduzione di P. G. Boccacci

Lei crede che le streghe volino deliranti davanti alla luna
Lei crede che un angelo si nasconda in un angolo della sua stanza
Lei crede che le navi vengano a casa con le loro voci dal mare
Lei crede nei perdenti, oh, lei crede in me

Lei crede che una pentola d’oro segni la fine dell’arcobaleno
Lei crede che una luce mostrerà a chi è solo un amico diretto a casa
Lei crede che l’anima affaticata un giorno sarà libera
Lei crede nei perdenti, oh, lei crede in me

Soffia piano, vento, cosicché lei possa cavalcarti
Soffia piano, vento, e io la vedrò tra poco
Lontana dagli stupidi che le dicono che io sono un falso
Lei crede nei perdenti, oh, lei crede in me



mercoledì 17 aprile 2019

Abner Jay - Vietnam TESTO E TRADUZIONE

Abner Jay - Terrible Comedy Blues (1968)
Abner Jay
Dentist in Vietnam, 1968


Testo originale di Abner Jay

[SPOKEN]

Terrible things make news. Terrible men make big men. Why do think we've got some men in state office? Because they're terrible! Look like you got to be terrible now to be popular. Look at the headlines of your newspaper every day, I don't care if you from New York, Chicago, Los Angeles, or Selma, Alabama. In most cases the headlines of your papers are tellin' you 'bout somethin' that happened terrible. Just like before I left Denver, Colorado. Headlines on every paper in Denver where this woman poured gasoline on her husband and set him on fire while he was sleep! Now, if she had poured cologne or perfume on 'im, and started kissin' all over 'im, nobody wouldn't a never known a damn thing about it. Terrible things make news! Terrible songs make big songs!
It's really pitiful and terrible about this Vietnam War. A young boy was in here last night. He had just been drafted. He had to go to Vietnam. And he had his little ol' girlfriend with 'im. And she was cryin'! Because he had to leave her behind for the front. It was hard when he left. So they left here and went down to the depot. And she was cryin' down there, because he pulled out too soon. So he kissed her, and went off in his uniform

[SUNG]

Vietnam, Vietnam
Look for me boys
'Cause here I come

I'm goin' away
On a far-off mission
I'll be sailing on the deep blue sea
I'll be back in the late, late spring
And I hope you will be lookin' the same

Vietnam, Vietnam
Look for me boys
Here I come

I don't have anything to offer you but a baby
Not even a ring to put on your finger
But if you wait, wait, wait for me
I will return with an honorable discharge from the Navy
And I don't mean maybe

Oh, Lord
Save me for my honey baby
Oh, Lord
Save me for my honey baby

Vietnam, Vietnam
Look for me boys
For here I come

Vietnam ...
_____________________________________________________________________

Traduzione di P. G. Boccacci

[PARLATO]

Le cose terribili fanno notizia. Gli uomini terribili fanno grandi uomini. Perché pensate che abbiamo degli uomini in un ufficio di Stato? Perché sono terribili! Sembra che bisogni essere terribili oggigiorno per essere popolari. Date un’occhiata alle prime pagine dei giornali, non importa se siete di New York, Chicago, Los Angeles o Selma, nell’Alabama. Nella maggior parte dei casi, le prime pagine dei vostri giornali vi parleranno di qualcosa di terribile accaduto. Proprio come è successo a me prima di lasciare Denver, nel Colorado. Su tutti i giornali di Denver, titoli riguardanti questa donna che ha versato benzina sul marito e gli ha dato fuoco mentre dormiva! Ora, se lei gli avesse versato addosso acqua di colonia o profumo, e l’avesse cominciato a baciare dappertutto, nessuno ne avrebbe mai saputo un accidente. Le cose terribili fanno notizia! Le canzoni terribili fanno grandi canzoni!
È davvero pietosa e terribile questa faccenda della Guerra in Vietnam. Un giovane era qui dentro la scorsa notte. Era stato appena arruolato. Doveva andare in Vietnam. E aveva con sé la sua solita giovane fidanzata. E lei piangeva. Perchè lui doveva lasciarla per il fronte. È stato difficile il momento in cui se n’è andato. Quindi sono usciti di qui e sono andati alla stazione. E lei piangeva laggiù, perché lui si tirava fuori troppo presto. Quindi lui l’ha baciata e se n’è andato nella sua uniforme.

[CANTATO]

Vietnam, Vietnam
Aspettatemi, ragazzi
Perché arrivo anch’io

Sto partendo
Per una missione in terre lontane
Solcherò il profondo mare blu
Tornerò in tarda primavera
E spero che sarete gli stessi

Vietnam, Vietnam
Aspettatemi, ragazzi
Perché arrivo anch’io

Non ho niente da offrirti a parte un bambino
Neanche un anello da metterti al dito
Ma se mi aspetterai
Tornerò con un congedo onorevole dalla Marina
E il mio non è un “forse”

Oh, Signore
Salvami per la mia adorata
Oh, Signore
Salvami per la mia adorata

giovedì 14 febbraio 2019

Neutral Milk Hotel - Oh Comely TRADUZIONE

Traduzione di P. G. Boccacci

Hey,  graziosa,  sarò con te quando ti mancherà il respiro
Inseguendo l’unico ricordo sensato che hai pensato ti fosse rimasto
Quello della bella scena,  luminosa,  spumeggiante e terribile
In cui lei faceva quella cosa sul tuo petto
Ma hey,  graziosa,  non è bello come vorresti credere
Nel tuo ricordo, sei ubriaca della soggezione che hai per me
Non significa assolutamente niente

Hey,  graziosa,  tutti i tuoi amici si lasciano spompinare da te
Esplosione di frutti appuntiti e brutti che cadono dai buchi
Di un bell’amico,  luminoso, spumeggiante e terribile
Che,  secondo il tuo bisogno, poteva dirti cose confortanti all’orecchio
Ma hey, graziosa,  non puoi trovare un amico del genere qui
Se mi stai vicina,  lui è solo il mio nemico
Lo annienterei con ogni mezzo

Di’  quello che vuoi
Tieniti le tue maniere vuote
Muovendo la bocca per tirar fuori
Tutti i miracoli a me destinati

Tuo padre ha generato feti insieme a signore leccatrici di carne 
Mentre te e tua madre dormivate nel parcheggio per roulotte
Fragorose scintille dal ventre scuro degli stadi
La musica e le medicine di cui avevi bisogno per confortarti
Quindi metti in moto le tue grasse dita carnose
E pizzica tutte le tue sciocche corde,  piega tutte le tue note per me
La dolce e sciocca musica è pregnante magia 
I movimenti erano stupendi,  nelle tue ovaie
Ognuno di loro che mungeva con verdi fiori di carne
Mentre i potenti pistoni erano dolci macchinari zuccherati
L’odore di seme che pervadeva il garage
Era  tutto ciò di cui avevi bisogno quando credevi ancora in me

Di’  quello che vuoi
Tieniti le tue maniere vuote
Muovendo la bocca per tirar fuori
Tutti i miracoli a me destinati

So che loro hanno seppellito il corpo di lei con altri
La sorella,  la madre e cinquecento famiglie
E lei mi ricorderà tra cinquant’anni?
Avrei voluto salvarla in una sorta di macchina del tempo
Conoscere tutti i tuoi nemici
Sappiamo chi sono i nostri nemici
Conosci tutti i tuoi nemici
Sappiamo chi sono i nostri nemici

Goldaline,  mia cara
Ci piegheremo e ci ghiacceremo insieme
Lontano da qui
Ci sono il sole e la primavera e il verde per sempre
Ma ora ci muoviamo per provare qualcosa l’un dell’altro dentro lo stomaco di uno straniero
Sistema il tuo corpo qui
Lascia che la tua pelle inizi a fondersi con la mia!



domenica 3 febbraio 2019

Bob Dylan - Nashville Skyline (1969) Recensione di P. G. Boccacci


Link alla recensione  sul sito Debaser:  https://www.debaser.it/bob-dylan/nashville-skyline/recensione-paolofreddie


     Nashville Skyline”,  nono album in studio di Bob Dylan,  prodotto da Bob Johnston,  pubblicato il 9 aprile 1969 dalla CBS,  compare nelle vetrine dopo quasi un anno e mezzo dal precedente  John Wesley Harding  (dicembre ’67). 
      Come questo,  è il risultato  di una irriverente presa di posizione  nei confronti della critica di settore e dei fan,  maturata nel tempo  come reazione al comportamento di entrambi riguardo la sua vita privata e la sua immagine pubblica. 

     I giornali continuano a definire l’artista  portavoce di una generazione”,  nonostante egli,  da diversi anni,  si sia già  disappropriato  di tale veste,  peraltro cucitagli addosso in virtù della contingenza storica  in cui  comincia a muovere i primi passi  (a un mero livello di pubblicazioni,  mi riferisco al periodo che va dal ’62  al ’64).  
     Prima del ’67,  già aveva stupito,  per non dire sconvolto,  fino al  disgusto,  il proprio seguito  “folk”,  dando una radicale direzione al proprio sound,  imbracciando la chitarra elettrica,  e lanciandosi  in cavalcate elettriche  volutamente esasperate,  nuove allora,  ancora sconcertanti oggi al pensiero. 
     Dylan inventa, a tutti gli effetti,  il folk rock,  genere che fino a fine anni ‘70/inizio ’80,  godrà  di una certa freschezza,  germinando, in seguito, sottogeneri  inediti grazie alla fusione con il punk e il nascente indie rock.  La trilogia elettrica del biennio ’65/’66  fa perdere a Dylan molti fan,  ma gliene restituisce altrettanti. 

     Il 29 Luglio 1966,  subisce una battuta d’arresto,  quando nei dintorni di Woodstock,  NY,  dove risiede,  ha un incidente in motocicletta  che lo segnerà,  al punto da indurlo a un periodo di isolamento volontario.  
     Nell’arco del ’67  non si sente quasi per niente parlare di Dylan,  che realizza,  in casa,  del materiale  inedito  con molta fatica,  mentre si riprende dal fattaccio.  Intanto,  circolano alcune registrazioni pirata,  sotto forma di bootleg  (“Great White Wonder”,  il primo della storia del rock),  che  riproducono  le sue sessioni  con The Band. 

     Non sorprende  che,  alla fine del ’67  (nello stesso mese in cui viene pubblicato  Songs of Leonard Cohen” –  tutto un altro paio di maniche!),  i fan e la critica rimangano ulteriormente  scioccati,  increduli a ciò che sentono le proprie orecchie:  la voce di Dylan  non è la stessa.  L’artista,  grande  “troll”  ante-litteram,  intona il suo nuovo materiale,  dalle sonorità country-rock,  marcatamente tradizionale,  con un’intonazione da crooner,  che,  di nuovo,  gli vale  l’etichetta di  venduto”,  come ai tempi di  Bringing It All Back Home”,  primo tassello della già citata trilogia elettrica.  Come in precedenza,  gli ascoltatori si fermano all’apparenza,  non essendo pronti per le prove  sottoposte loro.

     Il gioco si ripete nel 1969,  con maggior sintesi,  in  Nashville Skyline”.  L’album consta di 10 brani,  e non supera la mezz’ora  di minutaggio,  a differenza del precedente, che toccava i quaranta.  Le canzoni prendono vita negli Studi di Nashville.  Dalla prima sessione non vengono fuori nastri degni di pubblicazione,  mentre,  già a partire dalla seconda,  si vedono dei  “frutti”.   Lay Lady Lay”,  scritta l’anno precedente,  viene elaborata.  
      Il grande pregio del risultato finale è che si può avvertire un’atmosfera rilassata e disincantata. Negli anni in cui la Guerra in Vietnam è al culmine,  e  tutti si aspettano nuove invettive e prese di posizioni politiche,  l’artista,  rinato” per l’ennesima volta,  delude le aspettative,  ma di fatto compone un delizioso lavoro,  che ne ribadisce il mestiere.  Non un capolavoro,  ma un bell’album di Bob Dylan.

     Nonostante le critiche,  ha un riscontro commerciale più che buono,  toccando il terzo posto in Patria,  arrivando alla vetta  nel Regno Unito.  Il sound è più levigato,  sicuramente più accessibile.  
     I pezzi trainanti sono il,  già citato,  singolo  Lay Lady Lay”,  diventato  un vero  e proprio standard ad oggi  (che doveva,  oltretutto, far parte della colonna sonora di  Un uomo da marciapiede”,  ma Dylan non riuscirà a consegnarla in tempo),  e la nuova versione di  Girl from the North Country  (già inclusa  in “The Freewheelin’ Bob Dylan”,  1963)  al fianco di Johnny Cash.  Il resto della torta non è male,  ma non colpisce particolarmente.  Nashville Skyline Rag”, primo strumentale nella produzione dylaniana,  rappresenta un pregevole divertissement. 
     La copertina è sfacciata quanto le scelte musicali:  si assiste a un Dylan sorridente,  che si toglie il cappello,  come per salutare rispettosamente  (con una certa ironia)  il pubblico,  sia quello che ha già,  sia quello che intende,  forse,  conquistare,  introducendolo di fatto a delle atmosfere meno “funeste”. 

     Bob è ormai padre di famiglia,  e cerca di tenersi fuori dai guai  che la sua vita precedente,  da rockstar,  aveva comportato.  È un periodo relativamente tranquillo,  quello in cui  Nashville Skyline  viene registrato,  ma,  se la critica continua ad appiccicargli addosso il termine  portavoce di una generazione”,  i fan,  nell’infastidire  l’artista,  non sono da meno:  non sono rare le visite inopportune e sgradite, da parte di  ammiratori,  o di  sempliciavvoltoi”,  che si introducono nella proprietà di campagna di Dylan,  la cui reputazione presso i vicini di casa viene minata:  I vicini di casa ci odiavano.  Per loro,  non ero altro che un carrozzone carnevalesco”.

     Come il fortunato  Sweetheart of the Rodeo  dei Byrds  (che,  nel realizzarlo,  si erano ispirati proprio a Bob,  nello specifico a  John Wesley Harding”),  Nashville Skyline  ridà dignità  alla musica country,  senza banalizzarla né svecchiandola – se non marginalmente –.  
     Più semplicemente,  pur con la sua sfacciataggine,  l’artista  si diverte facendo quello che gli piace, e riesce anche a emozionarsi,  come nel duetto con Johnny Cash.  Questi scrive le note di copertina dell’album,  in cui  dichiara,  in un modo preciso che più preciso non si può:  Ci sono quelli che non imitano,  che non possono imitare,  ma poi ci sono quelli che emulano a tratti,  per espandere ulteriormente la luce  di un bagliore originale;  sapendo che imitare i vivi è parodia, e imitare i morti è furto,  ci sono quelli che sono esseri completi in sé stessi …”.  
     Chapeau! … sia a Roberto,  sia a Giovanni.

mercoledì 30 gennaio 2019

The Cure - Pictures of You TRADUZIONE


Traduzione  di  P. G. Boccacci

Ho guardato così a lungo queste  tue fotografie
Che ho quasi  creduto che fossero vere
Ho vissuto così a lungo con queste fotografie che ti ho scattato
Che ho quasi creduto che le immagini fossero
Tutto ciò che posso sentire

Ricordandoti,  tranquilla nella pioggia,
Mentre correvo verso il tuo cuore per accorciare le distanze
E ci siamo baciati mentre il cielo cadeva
Tenendoti vicina
Come ti ho sempre tenuta vicina quando avevi paura

Ricordandoti, che correvi morbida nella notte,
Eri più grande e luminosa ed estesa della neve
E ho gridato di fronte alla finzione
Ho urlato al cielo
E finalmente trovasti tutto il tuo coraggio per lasciarti andare del tutto

Ricordandoti, caduta tra le mie braccia,
Piangendo per la morte del tuo cuore
Eri bianca come la pietra
Così delicata, persa nel freddo
Eri sempre così persa nel buio

Ricordandoti, per come eri,
Affogata lentamente
Eri un angelo, molto più di tutto
Fermati per l’ultima volta, poi scivola via placidamente
Apro i miei occhi ma non vedo mai niente

Se solo avessi pensato alle parole giuste
Mi sarei potuto aggrappare al tuo cuore
Se solo avessi pensato alle parole giuste
Non starei ora strappando
Tutte le fotografie che ti ho scattato

Guardando così a lungo queste tue fotografie
Ma non mi aggrappo mai al tuo cuore
Cercando così a lungo parole che siano vere
Ma finisco sempre per strappare
Le fotografie che ti ho scattato

Non c’è niente al mondo che avrei voluto di più
Di sentirti nel profondo del mio cuore
Non c’è niente al mondo che avrei voluto di più
Di non sentire mai lo strappo
Di tutte le fotografie che ti ho scattato



martedì 29 gennaio 2019

Red House Painters - Medicine Bottle TRADUZIONE

Traduzione di  P. G. Boccacci


Abbandonandomi all’amore
E condividendo il mio tempo
Lasciando entrare qualcuno nella mia tristezza
Esposta interamente, passo dopo passo

Raccontando come sono atterrato sull’isola
E come nuoto nel mare
E mi viene in mente
Che potrei svegliarmi con un coltello dentro di me

Niente respiro tra i miei capelli o biancheria femminile, non più
Gettandomi sulla sveglia
Gocciolando sangue dal letto su una poesia elegantemente scritta
Accorata lettura dell’ultimo verso

Non c’è più alcun mistero
Accadrà,  amore mio?

“È tutto nella mia testa”,  ha detto lei,  “Mattino post-incubo”
“Ti stai costruendo un muro”, ha detto lei,  “Più alto di entrambi
Quindi tenta di vivere la vita invece di nasconderti in camera
Tira fuori un sorriso e ti prometto che non ti lascerò”

Accadde sotto una nuvola piovosa
Attraversando l’oscuro Sud
Entrammo in una grande casa
E dormimmo in un letto singolo

Allora non ti conoscevo
Come del resto tu non conoscevi me
Parlammo delle nostre tristi vite
E proseguimmo separatamente

E proseguimmo separatamente
Ho trovato i tuoi souvenir d’oltremare
Biglietti di auguri per le feste
Quelle paure liceali da tempo dimenticate

“È tutto nella mia testa”,  ho detto io
Picchiando sul pianoforte
“Non sono stato così solo”,
Pensai, “Fin da quando davo calci nel grembo”

Ho bevuto così tanto tè
Ho scritto le mie lettere in ideogrammi
Ho fatto il giro dell’isolato
Fingendo che tu fossi con me

Non volendo morire qui fuori
Senza di te

Il dolore non ha mai fine
Come compleanni e vecchi amici,  dimentichiamo
Che carne,  sangue e ossa,  tutto questo è umano
Scambiando linee telefoniche per linee aree
Non volendo affrontare il semplice fatto
Che l’amore si trova all’interno
Non al di fuori

E come un flacone di medicina
Nell’armadietto,  ti conserverò
E come un flacone di medicina
Nella mia mano ti terrò

E ti ingoierò lentamente
Come se volessi farti durare una vita
Senza tenerti troppo stretta
Non voglio perdere

L’eccitazione che mi dà
Guardare fuori dalla mia finestra
E guardare corrucciato le case
Dal mio mondo nella stanza

È tutto nella sua testa,  leggeva lei
Nel libro di auto sostegno di una fidanzata
È tutta una sua creazione
Una guerra dentro di lui

Come i due lati di un muro
Che separa due paesi
Lui chiude fuori il mondo che un tempo conosceva
Per amarti

Non volendo morire qui fuori
Senza di te